La rotta dimenticata turca-calabra è molto pericolosa perché si tratta di un lungo e impervio viaggio dalla Turchia fino alle nostre coste.
La rotta turca è una vecchia rotta usata già negli anni ’90 per scappare dalle persecuzioni turche che negli ultimi anni è stata riattivata perché sono state chiuse altre rotte oppure sono diventate più pericolose da attraversare come la rotta balcanica via terra dove il lungo viaggio dall’Afghanistan in condizioni estreme si conclude con il blocco alle frontiere croate, nel cosiddetto game. Inoltre, il governo greco ha adottato misure più severe negli ultimi tempi e ha messo in atto respingimenti di migranti ai confini e sulle isole dell’Egeo.
Questo ha fatto riaprire questa rotta che collega la Turchia alla Calabria. Si trattava di piccolo yacht o imbarcazioni a vela condotti da scafisti ucraini e russi. Rispetto alla rotta libica da dove arrivano uomini soli o donne sole con bambini, in questo caso sono famiglie anche di un livello più agiato perché le tariffe sono molto più alte sui 7mila euro invece dei 500 o mille euro della rotta libica. Prima la tariffa era ancora più alta, oltre 10mila euro ora si nota anche come sono cambiante anche le imbarcazioni usate, come imbarcazioni di legno e pescherecci.
Il 15% degli arrivi parte dai porti turchi
Il portavoce dell’Organizzazione Internazionale per le migrazioni (Oim) ha riferito che i morti sono 100 mentre i sopravvissuti sono 82. La rotta del Mediterraneo centrale è ancora la più pericolosa al mondo. Dal 2014 sono oltre 20.500 le persone che hanno perso la vita in questo tratto di mare. Di Giacomo puntualizza che lo scorso anno il 15% degli arrivi via mare in Italia è arrivato attraverso la rotta turca, “una rotta non particolarmente battuta ma cresciuta a seguito della crisi afghana del 2021, tant’è che dallo scorso anno è ormai stabile.”
“La metà delle persone che arrivano lungo questo canale, come è facile immaginare, sono afghani. E’ una rotta molto costosa e non tutti se la possono permettere, ma quello che vorrei evidenziare è che chi arriva da lì fugge da contesti di privazione dei diritti umani e drammatici. Non solo afghani, ma da lì giungono iraniani e pakistani” sottolinea il portavoce.
“Occorre un approccio umanitario e non securitario, che non porta da nessuna parte se non ad altri naufragi” spiega affermando la necessità di dare priorità ai soccorsi in mare insufficienti nel Mediterraneo e aprire canali regolari. Un altro fattore importante è quello di capire i push factors dietro alle partenze come violenze e mancanza di diritti umani, non basta bloccare le partenze.